Discorso di ringraziamento – Berna, 17.11.1989

Francia/Lituania

Emmanuel Lévinas

Premio Balzan 1989 per la filosofia

Per aver introdotto nella filosofia contemporanea una prospettiva del tutto originale che rovescia il rapporto tradizionale tra etica e metafisica. In questa prospettiva l’etica ha la preminenza, non come trattazione astratta, ma come esperienza dell’“altro”, che si presenta a ogni uomo nella visione del volto. L’incomunicabilità che in questa esperienza si rivela rinvia alla trascendenza del divino.

Signor Presidente,
Eccellenza,
Signor Presidente e Signori membri della Fondazione Balzan,
Signore e Signori:

che un discorso filosofico – che non promette, come tale, né novità tecnologiche, quali le scienze, anche più formali, lascerebbero intravedere, né le gioie della letteratura con le sue immagini suggestive – ; che un discorso puramente filosofico abbia attirato l’attenzione e il riconoscimento di una giuria fedele a quelle ultime, generose volontà che, come dicono gli Statuti della Fondazione, si propongono come “sorgenti di pace e di fraternità tra i popoli”; questo, per l’autore di un tal discorso, rappresenta una sorpresa e un onore insigne.
Ho, dunque, il piacevole dovere di esprimere la mia gratitudine alla nobile Fondazione Internazionale Balzan.

Un dovere di gratitudine, che son ancor più felice di esprimere perché l’onore insigne, che mi si fa, riguarda, al di là della mia persona, i grandi filosofi del mio Paese che mi aprirono al pensiero europeo: da Cartesio a Bergson, uniti a Socrate e ai suoi seguaci, fino a Husserl e alla sua scuola fenomenologica. Essi richiamano l’essere all’ordine della Ragione e, con ciò, la nostra Europa alla sua vocazione universale, che è la pace. Il dovere di gratitudine, che sento, riguarda anche le elevate tradizioni spirituali trasmessemi dalla mia famiglia, secondo le quali la pace fra gli uomini va cercata nel versetto biblico come allusione all’avvenimento finale e conclusione di ogni ragionamento.

All’omaggio che rendo alla Fondazione Balzan, celebrata nel ricordo di questi nomi eminenti e di queste alte tradizioni, desidero unire l’espressione della fiducia che conservo nell’umanità, nonostante tutti i suoi fallimenti e le sue cadute. Questa mia fiducia non è motivata dalle strutture dell’essere, nè, d’altro canto, si basa su una speranza ingenua o su una supposizione gratuita. L’essere, infatti, non ha che il suo stesso essere. Essere è perseverare ad essere, è conatus essendi, “tenerci” ad essere. E la durezza del solido, della cosa confinata atomicamente nel suo spazio, nella sua materialità precisamente; oppure è lotta per l’esistenza, tipica del vivente. Solo l’uomo se ne distacca. E può accettare di morire per l’altro. In un consenso al sacrificio: lacerazione dell’essere. Etica o Santità, contro ontologia scortese, che non conosce il «dopo di Lei, Signore!».

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