Discorso di ringraziamento – Roma, 15.11.2000

Regno Unito

Martin Litchfield West

Premio Balzan 2000 per l'antichità classica

Per le sue magistrali edizioni e delucidazioni della poesia greca da Omero fino alla tragedia attica nonché per le sue ricerche innovative riguardo alle sempre presunte e accanitamente discusse relazioni tra la Grecia e l'Antico Oriente.

Signor Presidente,
Membri della Fondazione Balzan,
Signore e Signori,


La Fondazione Internazionale Balzan mi ha fatto un grandissimo onore conferendomi questo premio e voglio esprimere subito la mia gratitudine a tutti coloro che sono stati coinvolti in questa scelta. La notizia del premio, qualche mese fa, mi è arrivata come una sorpresa totale, soprattutto per uno come me che non può certo vantarsi di aver fatto progredire gli studi classici in una qualsiasi direzione precedentemente sconosciuta. O di averli arricchiti con qualche nuovo concetto o metodologia. Io pratico uno stile di filologia che ho appreso quarant’anni fa e che non ho mai avuto ragioni di cambiare; ben sistemato in questa via sin da un età precoce, ho ignorato le mode mutevoli delle discipline e ho dormito tranquillo mentre il rumore del carro dei vincitori passava nella notte. Di tanto in tanto ho posto qualche nuova domanda ed esplorato dei campi trascurati, ma ogni volta che ho fatto questo, ho usato delle procedure tradizionali.

Quando dico “tradizionali”, mi riferisco ovviamente ad una tradizione di studi precisa, nella quale sono stato educato alla St. Paul’s School a Londra e all’Università di Oxford. Uno dei numerosi casi per i quali mi considero fortunato, è che fui studente universitario ad Oxford all’epoca in cui Eduard Fraenkel, benché da tempo ritiratosi dalla cattedra di latino, era ancora attivo in conferenze e in seminari sul modello tedesco, una cosa che, per quel che ne so, aveva introdotto egli stesso a Oxford e che continua anche oggi. Non solo ci faceva analizzare i testi come noi non li avevamo mai analizzati prima, ma addirittura come non avevamo mai neppure immaginato che potessero essere analizzati. Egli ci arruolò nel venerabile solco della sua stessa tradizione. Parlava di Leo e Wilamowitz e Wackernagel, grandi eruditi di un’altra epoca, ai cui seminari aveva assistito egli stesso, a Berlino e a Göttingen, e noi sentivamo che attraverso lui eravamo in diretto contatto con loro.

La mia tesi di dottorato fu diretta da uno studioso dal carattere e dal temperamento molto diversi, Hugh Lloyd-Jones. Era difficile non essere stimolati dal suo brio eccezionale, dalla sua impazienza di fronte all’accumulazione inutile di referenze irrilevanti, dal suo desiderio di andare dritti al punto, dal suo giudizio immediato e spesso caustico sui pareri e sulle persone, e dalla sua opinione che il peggiore difetto in uno studioso è di essere noioso, cosa della quale nessuno lo accusò mai.
Mi fece un grande favore mandandomi in Germania per un semestre durante il mio primo anno post laurea. Qui ho studiato con Reinhold Merkelbach a Erlangen, e ho fatto la conoscenza di molti altri che si sono collocati, nelle ultime quattro decadi, alla testa degli Ellenisti tedeschi: Rudolf Kassel, Winfried Bühler e il premio Balzan 1990, Walter Burkert. Tutti sono rimasti miei buoni amici. E’ stato Reinhold Merkelbach che mi ha aperto gli occhi sull’importanza per i miei studi degli antichi testi del Vicino Oriente; lo studio delle influenze orientali sulla letteratura e sui miti greci sono rimaste un importante elemento del mio lavoro. Non è, certamente, un elemento caratteristico della tradizionale filologia anglo-tedesca nella quale sono stato educato. Ma la metodologia non è diversa: leggere i testi, cercare di determinare esattamente che cosa l’autore ha scritto, che cosa intendeva dire, e dove questi significati si collocano nel contesto storico-letterario.

Ma se io associo un simile approccio con una precisa tradizione di studi e dichiaro la mia appartenenza ad essa, nello stesso tempo si deve sottolineare che questa tradizione è una cosa potenzialmente pericolosa, che può ingannare e limitare, e si deve cercare con tutte le proprie forze di essere indipendenti da essa. Quando ci insegnano a scuola e al college la storia di un paese o della sua letteratura, i nostri insegnanti, in generale, non ricostruiscono questa storia sotto i nostri occhi partendo dalle fonti originali; ci nutrono con le sintesi che uomini sapienti hanno precedentemente fatto, con fables convenues, con conclusioni che la maggior parte delle persone ha accettato. Ciò è inevitabile allo stadio educativo. Ma la conseguenza è che noi siamo imbevuti di una saggezza convenzionale prima di aver acquisito la capacità di fare la nostra propria valutazione delle evidenze. E difficile allora non vedere queste evidenze attraverso le lenti della tradizione nella quale ci troviamo; difficile sfuggire ai preconcetti che sono stati programmati in noi. Quando noi guardiamo indietro alla storia della interpretazione, possiamo vedere come gli studiosi del passato fossero spesso accecati o deviati dalle tradizioni ermeneutiche che prevalevano a quel tempo. Come possiamo non essere prigionieri della nostra stessa tradizione?
La nostra migliore risorsa è sempre il poter tornare alle fonti primarie e lavorare su esse formandoci un giudizio sulle loro evidenze che ci colpiscono prima di prestare attenzione alla letteratura secondaria e alle loro implicazioni. La principale caratteristica della tradizione da cui io provengo è che insegna a far ciò. E’ una tradizione che mira a trascendere se stessa, per evitare di costruire ipotesi e interpretazioni senza un ricorso continuo all’evidenza dei fatti. 

Una gran parte del mio lavoro è stata consacrata alla ricerca di stabilire fatti; in modo da rispondere a domande del tipo: quando un particolare testo è stato composto? Se è stato composto o meno (totalmente o parzialmente) dal suo supposto autore; se il supposto autore è stato una persona reale o fittizia? Quale era il testo originale in questo o in quell’altro punto? Non si può negare che queste sono domande di un tipo veramente tradizionale.
È incoraggiante sapere che un così eminente corpo di studiosi come i membri del Comitato del Premio Balzan ha visto un sufficiente valore in un lavoro di tipo così fondamentalmente vecchio stile, da meritare un riconoscimento così straordinario. Ciò darà, io spero, un incoraggiamento a tutti quei giovani studiosi che osano affrontare nuovi problemi seguendo i canoni della vecchia dottrina.

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