Quali prospettive per la ricerca di altri pianeti? – octobre 2000 (italien)

Suisse

Michel Mayor

Prix Balzan 2000 pour l'instrumentation et les techniques en astronomie et en astrophysique

Pour l'importance de ses recherches qui ont permis de découvrir la première planète en orbite autour d'une étoile autre que le soleil.

QUALE BILANCIO E QUALI PROSPETTIVE PER LA RICERCA DI ALTRI PIANETI
E DI FORME DI VITA EXTRATERRESTRI?

Cinque anni fa, all’inizio di ottobre, nel corso di un convegno mondiale a Firenze, Michel Mayor annunciava la scoperta del primo pianeta extrasolare, in orbita attorno ad una stella di tipo molto simile al sole, 51 Pegasi, a una cinquantina di anni luce da noi. La sua presenza era stata stabilita non attraverso la visione diretta ma in seguito all’osservazione, tramite spettrografo, delle perturbazioni nel moto della sua stella. Questa, invece di avere velocità radiale costante mostra delle piccole variazioni periodiche in più e in meno di 50 metri al secondo. Dalla periodicità delle variazioni si ricava il periodo di rivoluzione del pianeta e dalla loro entità si ricava la massa. La massa risulta circa eguale a quella di Giove, il periodo di rivoluzione è invece di soli 4,23 giorni. Si tratta quindi di un pianeta vicinissimo alla sua stella, con una temperatura di mille gradi. C’era poco da illudersi quindi sulla presenza di forme di vita al suo interno. Nonostante questo la notizia della sua scoperta è rimbalzata allora sulle prime pagine dei giornali, a dimostrazione di quanto sia viva l’attesa di scoprire pianeti simili al nostro e forme di vita anche elementari.

Da allora, sempre nello stesso modo indiretto, sono stati scoperti una ventina di pianeti attorno ad una quindicina di stelle tutte di tipo simile al Sole. Si tratta ancora di pianeti molto grossi, gli unici che per ora la strumentazione è in grado di rilevare. In almeno tre casi il periodo di rivoluzione è molto breve e nella maggioranza dei casi l’orbita dei pianeti è marcatamente ellittica. Sono quindi pianeti considerati inadatti ad ospitare forme di vita, perché la temperatura subisce forti variazioni al passare dalla minima alla massima distanza dalla stella. La presenza dei pianeti scoperti in questo modo resta ipotetica (per quanto molto probabile). In un caso però Mayor, in un articolo apparso all’inizio di quest’anno su The Astrophisical Journal e scritto in collaborazione con altri astrofisici, è riuscito a documentare la presenza del pianeta sia col metodo delle variazioni di velocità della stella, sia con metodo fotometrico. Si tratta di HD 209485, una stella molto simile al Sole. Le variazioni di velocità indicano la presenza di un corpo di massa più piccola di quella di Giove e periodo di rivoluzione di 3,523 giorni. Le osservazioni fotometriche indicano un transito del pianeta davanti alla stella che produce una diminuzione di circa due centesimi del flusso luminoso stellare.

Nonostante questi progressi, confermare l’esistenza di pianeti extrasolari continua ad essere un compito difficilissimo, anche se oggi, grazie a nuovi apparati strumentali, si accresce la possibilità di individuare altri sistemi planetari almeno nelle stelle più vicine al sole. Accanto a metodi di individuazione indiretta, come quelli utilizzati e perfezionati da Mayor, sarà possibile servirsi anche di un metodo diretto. Esso si basa sul tentativo di estrarre la debole immagine del pianeta dalla brillante immagine della sua stella. Per far questo è necessario eliminare tutta la luce stellare diffusa dallo strumento a causa delle minime particelle di polvere che si depositano su questo. E’ un problema simile, ma molto più complesso di quando si cerca di osservare la corona solare fuori eclisse. Fra i possibili strumenti sono stati proposti telescopi coronografici, simili a quelli per la corona solare, oppure dei telescopi spaziali di grande diametro, che, sfruttando l’assenza dell’atmosfera terrestre possono raggiungere « acuità visive » così fini da vedere separati stella e pianeta. Qualcosa del genere si spera già di poterlo fare col successore di Hubble (il telescopio spaziale giunto al suo decimo anni di vita nello spazio) o col grande telescopio europeo VTL (Very Large Telescope). Costituito da quattro specchi di 8 metri di diametro, VLT sarà equivalente ad un unico specchio di 16 metri di diametro. Si prevede che gli ultimi due specchi entreranno in funzione nel prossimo anno, o al massimo nel 2002.

Altro compito, altrettanto difficile sarà capire, una volta individuato un pianeta con caratteristiche che non escludano a priori la presenza di forme di vita, se esso abbia quegli elementi che consentono di ipotizzare forme di vita anche elementari. Ad esempio la presenza di acqua o di ossigeno. Molti sono convinti che nei prossimi anni, utilizzando telescopi di 16-20 metri e parecchi giorni di esposizione una tale ricerca potrà essere possibile.

(ottobre 2000)

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