Synthèse panoramique – Rome, 16.11.1994 (italien)

Italie

Norberto Bobbio

Prix Balzan 1994 pour le droit et la science politique (gouvernement des sociétés démocratiques)

A l’éminent professeur, philosophe et historien du droit qui, par son enseignement, ses travaux et son engagement civique a apporté une contribution exceptionnelle à l’étude théorique et pratique du gouvernement des démocraties.

SINTESI PANORAMICA
redatta in occasione della cerimonia di consegna del Premio Balzan 1994 per diritto e scienza delle politiche
(governo dei sistemi democratici)

Diritto e scienza politica procedono da secoli di pari passo, anche se non sempre si sono incontrati, e spesso l’uno procede indipendentemente dall’altra. Possiamo far cominciare questa storia parallela dalle due opere fondamentali di Platone, Le leggi e La repubblica, che possono essere considerate esemplarmente l’una un’opera di diritto, l’altra un’opera di politica, che si completano a vicenda, anche se su piani diversi. Tra le opere più note di Cicerone, una è intitolata De legibus, un’altra De republica. Lungo tutta la storia del pensiero politico si alternano opere sulle leggi che regolano gli Stati, oggi le chiameremmo di diritto pubblico, a opere sul governo e sulle sue diverse forme storiche, ad altre ancora, in cui l ‘aspetto giuridico e quello politico sono congiuntamente esposti. Ai trattati di diritto naturale, di cui il più diffuso fu nei secoli XVII e XVIII quello di Pufendorf, De jure naturae et gentium, una parte del quale è dedicata alla teoria dello Stato, succedono alla fine del ‘700 i trattati di scienza dello Stato, che hanno per oggetto I ‘amministrazione della cosa pubblica. Nel Sei e Settecento fioriscono, soprattutto in Italia e in Germania, i trattati sulla ragion di Stato, opere politiche i cui autori sono spesso giuristi consiglieri del principe. L’opera somma che raccoglie in un unico sistema tutta la tradizione di scritti giuridici e politici dall’età classica sino all’età moderna, i Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel, ha come sottotitolo Diritto naturale e scienza dello Stato.
Il problema della convivenza umana può essere considerato essenzialmente da due punti di vista che si integrano a vicenda: dal punto di vista delle regole la cui osservanza è necessaria perché la società sia bene ordinata, e dal punto di vista del potere, altrettanto necessario perché queste regole siano poste e, una volta poste, osservate. Il diritto si occupa delle prime. la scienza politica, del secondo. Diritto e potere sono due facce della stessa medaglia. Una società bene ordinata ha bisogno delle une e dell’altro. Là dove il diritto è impotente la società rischia di precipitare nell’anarchia. Là dove il potere non è controllato, corre il rischio opposto del dispotismo. Il modello ideale dell’incontro fra diritto e potere è lo Stato democratico di diritto, cioè lo Stato in cui attraverso leggi fondamentali non vi è potere, dal più basso al più alto, che non sia sottoposto a regole, non sia regolato dal diritto, limitato da norme che determinano diritti e doveri, e in cui, nello stesso tempo, la legittimità dell’intero sistema di norme che regolano i poteri e di poteri che determinano le norme, deriva in ultima istanza dal consenso attivo dei cittadini. E’ soprattutto nello Stato democratico di diritto che scienza giuridica e scienza politica debbono stabilire fra loro fecondi rapporti di collaborazione, in quel tipo di Stato in cui l’agire politico a tutti i livelli deve svolgersi nei limiti di norme stabilite, e queste stesse norme possono essere continuamente sottoposte a revisione attraverso l’agire politico, promosso dai più diversi centri di formazione dell’opinione pubblica, da gruppi di interesse, da associazioni, da liberi movimenti di riforma e di resistenza.
Avendo coltivato alternativamente studi giuridici e studi politici, e avendo insegnato tanto la filosofia del diritto quanto la filosofia e la scienza politica, nei miei scritti sulla democrazia, la sua storia, i suoi limiti, e i suoi possibili sviluppi, ho cercato di tener conto dei risultati raggiunti sia dai giuristi sia dagli studiosi di politica, in relazione ai principali temi e problemi che il governo dei regimi democratici solleva.
Rispetto alla tradizione del pensiero giuridico è stato decisivo per me l’in contro con la teoria del diritto di Hans Kelsen, la cosiddetta teoria pura del diritto, di cui mi avevano affascinato la chiarezza dell’analisi concettuale, l ‘originalità e semplicità delle soluzioni, nonché la coerenza dell’intero sistema. Nella sua opera riassuntiva, Teoria generale del diritto e dello Stato, apparsa in un anno decisivo per la mia formazione personale, nel 1945 (tradotta in italiano nel 1952), Kelsen risolve la tipologia tradizionale delle forme di governo, che aveva avuto le sue classiche formulazioni e segnato le sue tappe principali con Aristotele, Machiavelli e Montesquieu, nella contrapposizione democrazia-autocrazia, ispirata alla distinzione kantiana tra autonomia ed eteronomia: una soluzione che pone a fondamento della democrazia un concetto forte di libertà, intesa non soltanto più come libertà negativa, propria della tradizione politica liberale, ma anche come libertà positiva seconda la famosa definizione di Rousseau, riproposta dalla stesso Kant, per cui la libertà consiste nell’obbedire alla legge che ognuno dà a se stesso.
L’insegnamento di Kelsen, giurista, studioso in particolare del diritto pubblico e del diritto internazionale, che aveva scritto un’opera di grande diffusione sull’essenza della democrazia, mi servì anche a considerare i problemi del governo democratico dal punto di vista delle sue regole costitutive che permettono di darne una definizione procedurale o metodologica, seconda cui ciò che caratterizza i governi democratici è un insieme di regole di organizzazione, che consentono ai cittadini di prendere le decisioni collettive vincolanti per tutti attraverso meccanismi di formazione di un libero convincimento e di manifestazione diretta o indiretta di questo convincimento. La definizione procedurale è anche una definizione minima, in quanto comprende le più diverse forme storiche di costituzioni democratiche, da quelle degli antichi a quelle dei moderni, da quelle dei moderni a quelle dei posteri, se governi democratici nel futura ancora ci saranno, il che non possiamo sapere con certezza.
Contro l’obiezione che la definizione della democrazia procedurale, che riguarda la struttura giuridica della Stato democratico, è indifferente ai valori, occorre insistere sulla considerazione che il fine principale di queste regole è di rendere possibile la soluzione dei conflitti sociali attraverso la contrattazione fra le parti e, quando la contrattazione non ha esito, attraverso il voto di maggioranza escludendo il ricorso alla violenza. In una parola, la democrazia può essere definita come il sistema di regole che permettono l’instaurazione e lo sviluppo di una convivenza pacifica. In occasione della morte di Popper ho ricordato la sua ben nota distinzione fra due forme di governo contrapposte, quella in cui ci sono regole che permettono di sbarazzarsi dei propri governanti senza spargimento di sangue, attraverso libere elezioni, e quella « di cui i governanti non possono sbarazzarsi che per mezzo di rivoluzione, il che significa – aggiunge – che, nella maggior parte dei casi non possono affatto sbarazzarsene ». E’ da aggiungere, se mai, che quello che vale nel passaggio da un regime all’altro deve valere, a maggior ragione, all’interno del regime democratico, una volta che esso sia stato stabilito. Per queste ragioni una società democratica può sopportare la violenza criminale, se pure entro certi limiti, e sia ben chiaro che fenomeni come la mafia li oltrepassano. Non può sopportare la violenza politica. E non la può sopportare perché, come ho detto, lo scopo principale delle regole che caratterizzano i regimi democratici e li distinguono da tutti gli altri è di proporre ogni forma possibile di rimedi allo sbocco violento dei conflitti sociali.
Naturalmente, altro sono le regole, altro la loro regolare generale applicazione. La loro applicazione non può essere garantita, se non, come ho detto all’inizio, dalla formazione di poteri che ne garantiscano il più possibile l’osservanza. Il punto di vista giuridico non può non essere integrato dal punto di vista più propriamente politico. A questo fine mi sono venuti incontro gli scrittori realisti, i cosiddetti « machiavellici », come Pareto e Mosca cui ho dedicato alcuni studi, riuniti nel volume, Saggi sulla scienza politica in Italia, apparso nel 1969. Ma a questi miei maestri di realismo politico vorrei aggiungere almeno il nome di un altro autore, Elias Canetti, e di un ‘opera Massa e potere,che, conosciuta in ritardo attraverso la traduzione italiana, mi ha fatto vedere la politica, per citare il titolo di un celebre libro, anche come il « volta demoniaco del potere » . Sono stato così indotto a contrapporre non tanto, come avviene di solito, la democrazia sostanziale a quella formale, una contrapposizione che a me è sempre parsa fuorviante, ma la democrazia reale a quella ideale. Di qui è nata la mia analisi delle  » promesse non mantenute », che forma il nucleo del mio libro forse più noto, Il futuro della democrazia, apparso nel 1984. Tra queste promesse non mantenute ho additato, e sono tornato più volte sull’argomento, la persistenza del potere invisibile, degli arcana imperii, che mi ha fallo ripetere più volte un detto di Canetti: « Il segreto sta nel nucleo più interno del potere ».
Il problema della democrazia all’interno dei singoli Stati è strettamente connesso a quello della democrazia nel sistema internazionale . Anche le democrazie più consolidate non sempre si trovano nella condizione di osservare i principi della convivenza democratica nel rapporto con gli altri Stati. Il « futuro della democrazia » risiede oggi più che mai nella democratizzazione del sistema internazionale. Si tratta di un processo che dovrebbe svolgersi in una duplice direzione , ovvero nella graduale estensione degli Stati democratici, che ancora oggi sono una minoranza, e nella ulteriore democratizzazione della organizzazione universale degli Stati, che non è riuscita sinora a superare la condizione di equilibrio instabile fra i grandi Stati, e a impedire lo scoppio dei conflitti fra gli Stati piccoli.
I due processi sono strettamente connessi l’uno all’altro. Solo l’aumento degli Stati democratici potrà favorire l’ulteriore democratizzazione del sistema degli Stati. E questa soltanto può aiutare l’espansione degli Stati democratici . Formula il problema sotto specie di una congettura. Seconda la concezione kantiana della storia profetica dell’ umanità , non siamo in grado di prevederne con una certa approssimazione lo sviluppo, ma possiamo soltanto coglierne i segni premonitori. Se i segni premonitori del futuro della storia siano favorevoli all’espansione e al rafforzamento di quelle regole che sole consentono una convivenza pacifica o, se non proprio pacifica tale che passa ridurre al minima la soluzione cruenta dei conflitti, nessuno è in grado di dire. Il futuro della terra può essere oggetto soltanto di una scommessa, e, per chi non si accontenta di una scommessa, e ritiene che esso sia nelle nostre mani, o intenda agire come se fosse nelle nostre mani, di un impegno. I segni premonitori sono tanto negativi che positivi. Certamente, uno dei più preoccupanti segni negativi è la crescente diseguaglianza fra paesi ricchi e paesi poveri, che è condizione permanente di dominio dei primi e di conflitti tra i secondi. Segno favorevole, invece, è la sempre maggiore intensità con cui in sede internazionale viene riproposto il tema della protezione dei diritti dell’uomo, a cominciare dalla Dichiarazione universale del 1948, che ha indicato una meta ideale e ha tracciato una possibile linea di avanzamento del diritto internazionale nella direzione che va verso l’affermazione di un diritto cosmopolitico, dallo stesso Kant prefigurato.
Tanto al tema dei diritti dell’ uomo , quanta a quello della pace come meta ultima dell’evoluzione democratica del sistema degli Stati, ho dedicato vari scritti, raccolti, sul primo tema, nel libro L’età dei diritti (1990 ), raccolti gli altri, sul secondo tema, nei due libri Il problema della pace e le vie della guerra (1979 ) e Il Terzo assente (1989) .
I miei saggi sul primo tema partono dalla constatazione che il riconoscimento dei diritti dell’ uomo, condizione della nascita nell’età moderna della Stato liberale, prima, democratico, poi, presuppone un capovolgimento radicale del punto di vista tradizionale, secondo cui il rapporta politico viene osservato più dalla parte dei governanti che da quella dei governati, nel punto di vista opposto, secondo cui il rapporta politico deve essere osservato dalla parte dei governati. Alla base di questo capovolgimento c’è la concezione individualistica della società, la considerazione del primato della persona umana rispetto a ogni formazione sociale , di cui l’uomo viene naturalmente o storicamente a far parte; la convinzione che l’individuo ha valore in se s tesso, e lo Stato è fatto per l’individuo e non l’ individuo per lo Stato. Questa forma di individualismo, che io chiamo etico per distinguerlo da quello metodologico e da quello ontologico, è il fondamento della democrazia , alla cui base sta la regola: una testa, un voto. E si contrappone a tutte le dottrine organiche, seconda cui il tutto è prima delle parti, e il singolo individuo non ha valore se non in quanta parte di una totalità che lo trascende. Un altro tema su cui mi sono soffermato è quello della storicità dei diritti dell’ uomo, che non sono stati dati una volta per sempre, tutti insieme. Dopo l’affermazione dei diritti di libertà, dei diritti politici e dei diritti sociali, si avanza oggi una « nuova generazione » di diritti, che vengono affermati di fronte alle minacce alla vita, alla libertà e alla sicurezza, che pro vengono dall’accrescimento sempre più rapido , irreversibile e incontrollabile, del progresso tecnico. Mi riferisco in particolar e al diritto all’integrità del proprio patrimonio genetico, che va ben al di là del diritto tradizionale all’integrità fisica.
I miei scritti sulla pace sono nati negli anni dell’equilibrio del terrore , dalla constatazione che le nuove armi termonucleari minacciavano per la prima volta la vita non soltanto di questo o quel gruppo umano, ma dell’ intera umanità. Pertanto non valevano più, di fronte alla possibilità di una guerra sterminatrice, le tradizionali giustificazioni che erano state date dei conflitti tra gli Stati, in particolare la teoria della guerra giusta. Di qua la necessità di riproporre in termini nuovi il problema della pace e del pacifismo. Tra le varie forme di pacifismo, religioso, morale, politico, le mie preferenze si sono rivolte al pacifismo giuridico, secondo cui la soluzione pacifica dei conflitti dipende dalla presenza di un Terzo al di sopra delle parti. in grado non solo di giudicare chi ha ragione e chi ha torto, ma anche di far osservare in ultima istanza la propria decisione. Alla domanda come sia possibile una società non violenta, o meno violenta di quella che ha contrassegnato la nostra storia millenaria, tra i due estremi dell’azione diplomatica più facilmente praticabile ma insufficiente , e dell’educazione alla pace, certamente più efficace ma più difficile da attuare, ho dato la preferenza , per ragioni legate alla mia formazione culturale e per una naturale propensione a ritenere che la virtù sia nel mezzo, a quella che guarda alla creazione di nuove istituzioni che aumentino i vincoli reciproci fra gli Stati, o al rafforzamento di quelle fra le vecchie, che hanno dato sinora buona prova.
Il problema dei diritti dell’ uomo e quello della pace sono strettamente collegati con quello della democrazia. In una ideale teoria generale del diritto e della politica l’ opera dovrebbe essere costituita da tre parti di un unico sistema. Il riconoscimento e la protezione dei diritti dell’ uomo stanno alla base delle costituzioni democratiche moderne. La pace è, a sua volta, il presupposto necessario per il riconoscimento e l’effettiva protezione dei diritti fondamentali nei singoli Stati e nel sistema internazionale. Nello stesso tempo, il processo di democratizzazione del sistema internazionale, che è la via obbligata per il raggiungimento dell’ideale della  » pace perpetua » , nel senso kantiano della parola, non può andare innanzi senza una graduale estensione del riconoscimento e della protezione dei diritti dell’ uomo al di sopra dei singoli Stati. Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono dunque tre momenti necessari dello s tesso movimento storico: senza diritti dell’uomo riconosciuti e protetti non c’è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Con altre parole, la democrazia è la società dei cittadini. I sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti i diritti fondamentali. Ci sarà pace stabile, una pace che non avrà più la guerra come alternativa, soltanto quando vi saranno cittadini non solo di questo o quello Stato ma del mondo ordinato in un sistema giuridico democratico.
Sono perfettamente consapevole che si tratta di una meta ideale. Ma se non ci si propone una meta, non ci si mette neppure in cammino.

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