Italy
1983 Balzan Prize for Oriental Studies
Acceptance Speech – Bern, 17.2.1984 (Italian)
Desidero anzitutto esprimere alla Fondazione Balzan, e a tutti i suoi rappresentanti, la mia profonda gratitudine per l’alto onore di tale riconoscimento alla modesta mia opera di studioso. Ormai vicino alla sua conclusione, mi par giusto misurare e in qualche modo giustificare quasi sessanta anni di cammino percorso.
Consentite ricordi qui in primo luogo i miei maestri: mio padre Giuseppe Gabrieli (con cui ancor qualcuno, non senza mia filiale commozione, confonde talora il mio nome) studioso egli stesso in giovinezza d’arabo, mi iniziò per primo a quella lingua e civiltà. E poi i grandi islamisti del mio paese che ebbi maestri più di mezzo secolo fa alla Sapienza romana: Carlo Alfonso Nallino, Michelangelo Guidi, Giorgio Levi della Vida; al quale ultimo mi legò poi una cara colleganza e una devota amicizia, che idealmente continua tuttora. Quanto di meglio ho potuto compiere scientificamente, lo debbo a questi uomini, e, indirettamente, a tanti altri eminenti predecessori nella mia disciplina, tra i quali, qui in Svizzera, voglio ricordare Adam Mez e Max van Berchem.
L’islamistica e arabistica, anche nel mio paese, si è nel corso di questo secolo sensibilmente evoluta: da disciplina tutta rivolta al passato, quale era stata con gli uomini che ho ora ricordato, e con altre grandi figure di studiosi italiani come Michele Amari, Ignazio Guidi, Leone Caetani, essa ha preso a rivolgere sempre maggiore attenzione al presente del mondo arabo-islamico, risvegliato nel suo secolare letargo dai grandi eventi mondiali del nostro tempo, ed entrato a far parte viva e talor drammatica sulla scena contemporanea.
Ho seguito anch’io secondo le mie forze e convinzioni questo Risorgimento arabo, questo revival dell’Islàm odierno, con i suoi problemi, le sue crisi, i dolori sofferti in proprio e fatti soffrire altrui. Ma il mio principale interesse, e se posso dir così il mio cuore, sono stati di preferenza rivolti ai fasti dell’Arabismo e dell’Islàm della loro età classica, originale e creativa; complemento essenziale alla nostra civiltà occidentale, greco-romana e cristiana, cui ancor di recente ho avuto occasione di professarmi fedele. Dirò del resto francamente che dei due termini del binomio, Arabismo e Islàm, quello che forse mi ha più profondamente appassionato è il primo, conforme alla mia personale disposizione umanistica e storico-politica più che storico-religiosa; tanto più spiccata, invece, quest’ultima in illustri maestri nostri di ieri, un Goldziher e uno Snouck Hurgronje, e in altri eminenti colleghi d’oggi, europei e italiani.
Dall’intrecciarsi di questi due aspetti, il nazionale arabo e l’universalistico musulmano (l’Islàm, come tutti sappiamo, nacque dal seno del popolo arabo, ma si propagò poi, con mirabile capacità di proselitismo, a tanta parte del mondo non arabo) – dall’intrecciarsi dico di questi due elementi è risultata la passata storia dell’Oriente islamico, quella che esso e noi viviamo e soffriamo al presente, e quella che proietta già la sua ombra fra le nebbie dell’avvenire.
A scrutare, comprendere e valutare questa complessa realtà siamo un po’ tutti impegnati, studiosi orientalisti, politici, politologi. Possa questa comprensione aiutarci nei problemi che tormentano oggi non solo il mondo arabo-islamico, ma l’umanità intera. Il generoso premio di cui così benevolmente mi avete ritenuto degno va, come spesso avviene, più all’opera fornita che non a quella ancora in corso, più a ciò che fu fatto (o almeno tentato e voluto) che a ciò che si è ancora capaci di fare: a un miglior io del passato insomma in cui uno, dal suo presente, quasi non si riconosce più.
E mi sovvengono qui i versi d’un poeta a me caro, August von Platen:
…und jener Mensch, der ich gewesen, und den ich längst mit einem andern Ich vertauschte, wo ist er nun?
Vi ringrazio, signori, per avermi oggi riportato vicino a quel migliore io di un giorno.