Discorso di ringraziamento – Berna, 16.11.1999

Italia/USA

Luigi Luca Cavalli-Sforza

Premio Balzan 1999 per la scienza delle origini dell'uomo

Per la completezza del suo lavoro sull'evoluzione umana, che ha studiato integrando gli aspetti genetici e culturali.

Signora Presidente della Confederazione Svizzera,
Membri della Fondazione Balzan,
Signore e Signori,


Vorrei iniziare ringraziando tutti i miei amici e le altre persone che non conosco che hanno proposto il mio nome per il Premio Balzan; il Comitato che ha preso la decisione sulla base di queste segnalazioni; ma, soprattutto, Eugenio Balzan e sua figlia Angela Lina, che hanno dimostrato una grande generosità nei confronti della scienza e della cultura. – Da trent’anni circa vivo negli Stati Uniti, dove ho molte occasioni di ammirare il grande mecenatismo, specie scientifico, da cui le università e le istituzioni traggono un gran beneficio. E spesso penso che, purtroppo, in Italia gli sponsor sono molto rari. Una ragione sta certamente nella legislazione italiana che non favorisce questo genere di generosità, se non in pochi casi e solo da poco tempo. Così non si è diffusa in Italia quella mentalità che stimola persone facoltose a dedicare parte del proprio patrimonio allo sviluppo scientifico, culturale ed intellettuale del paese. Spero proprio che la generosità dei Balzan venga presa a modello da altri. In base a quanto conosco della vita e opera di Eugenio Balzan e di sua figlia, sono un loro profondo ammiratore, e sono certo che il loro nome sarà ricordato con grande rispetto da quanti, come me, hanno potuto beneficiare della loro generosità. Desidero esprimere di nuovo la mia gratitudine a tutti coloro che hanno scelto di onorare me e la mia disciplina.

Il Premio Balzan mi è stato conferito per le mie ricerche sulle origini dell’uomo. I primi dieci anni del mio lavoro di ricercatore furono dedicati alla genetica dei batteri, ma a partire dal 1952 ho ripreso in Italia la strada indicatami dal mio maestro di genetica, il professor Adriano Buzzati-Traverso. A lui devo il mio interesse per la genetica di popolazioni e l’evoluzione, e ben presto decisi di riprendere questo interesse dedicandolo in particolare agli esseri umani. Penso che la scelta degli esseri umani sia stata dettata dai miei studi universitari che completai laureandomi in medicina.


Lo studio dell’evoluzione stava assumendo una veste rigorosa grazie all’introduzione di una teoria matematica, sviluppata tra il 1918 e il 1950 da tre grandi scienziati, Sir Ronald A. Fisher, J.B.S. Haldane, e Sewall Wright. Io ebbi la fortuna di lavorare con Sir Ronald Fisher a Cambridge nel 1948-50, e fu una collaborazione molto importante per me. Poco dopo mi posi il problema se non fosse possibile ricostruire la storia dell’evoluzione umana attraverso l’analisi delle differenze genetiche tra gli esseri umani oggi viventi. I dati sulla genetica di popolazioni erano allora ancora scarsi. Si conoscevano le frequenze di alcuni gruppi sanguigni, tra i quali i gruppi cosiddetti ABO, usati per la trasfusione di sangue, il famoso sistema RH, e pochi altri. In attesa che emergessero altre conoscenze per raggiungere un sufficiente materiale critico, ci si poteva dedicare allo studio teorico dell’evoluzione. A quei tempi vi era ancora una fondamentale divergenza d’opinione circa la maggior importanza tra i due fattori evolutivi essenziali: la selezione naturale da una parte, e l’influenza casuale dall’altra, specie in rapporto a popolazioni di numero limitato, che porta inevitabilmente a delle fluttuazioni nella frequenza statistica dei caratteri genetici, fluttuazioni il cui effetto si ripercuote sulle successive generazioni. 

Non vi era alcun dubbio che la selezione naturale avesse un ruolo centrale. Dell’influenza casuale aveva già dato ampie prove uno dei padri della teoria matematica dell’evoluzione, Sewall Wright, ma mancavano gli adeguati dati di osservazione. Mi è grato ricordare qui che Sewall Wright fu insignito del Premio Balzan nel 1984, essendo sopravvissuto assai più a lungo degli altri due genî della genetica evolutiva. L’altro genetista cui è finora toccato l’onore di ricevere questo premio, è John Maynard Smith, uno tra i più brillanti allievi di J.B.S. Haldane. Vi è, quindi, la coincidenza interessante che dei tre genetisti ai quali finora è stato conferito il Premio Balzan, Sewall Wright era l’ultimo dei tre grandi della genetica ancora vivente, mentre gli altri due furono allievi di Haldane e Fisher. 

Mi proposi di risolvere il problema di come misurare l’influenza del caso sulla variazione genetica, studiando una popolazione vicina all’università di Parma, dove insegnavo negli anni cinquanta. L’effetto del caso sulle differenze genetiche tra villaggi doveva essere facilmente dimostrabile sulla base di dati demografici, che i registri parrocchiali di nascite, matrimoni e morti, disponibili fin dal 1500, permettevano di ricostruire. Si sarebbe potuto così calcolare l’ipotizzata variazione genetica dovuta al caso, e confrontarla con quella attualmente osservata. Questo lavoro ebbe un bel successo grazie all’aiuto di due giovani allievi: il sacerdote Antonio Moroni e Franco Conterio, oggi entrambi professori a Parma, l’uno di ecologia, l’altro di antropologia. 


Nel 1961, si erano ormai accumulate osservazioni e materiale genetico di numerose popolazioni del mondo tali da permettere una prima analisi di un albero evolutivo delle popolazioni umane. Anthony Edwards, dell’Università di Cambridge, mi aiutò a sviluppare ed applicare metodi di ricostruzione di alberi evolutivi che avevo in mente. Eseguimmo gli indispensabili e difficoltosi calcoli grazie al calcolatore Olivetti Elea, appena acquistato dall’Università di Pavia, dove mi ero trasferito, e dove continuai la mia ricerca. E così fu possibile ricostruire il primo albero evolutivo delle popolazioni umane la cui struttura di base è tuttora valida. Un’altra collaborazione importante per me fu quella con Sir Walter Bodmer, anch’egli allievo di R.A. Fisher, con il quale abbiamo pubblicato due libri sulla genetica di popolazioni umane. Uno di questi, The Genetics of Human Populations, è stato ristampato solo pochi mesi fa dalla Dover Publications, quasi trent’anni dopo la sua prima pubblicazione. 

Nella seconda metà degli anni sessanta, estesi, per quanto possibile, il modello di ricerca genetica da me sviluppato sulla popolazione parmense ad un gruppo di cacciatori-raccoglitori della foresta africana, i pigmei, una delle poche popolazioni che vivono ancora in economia preagricola, non troppo lontana da quella paleolitica. Mi aiutò molto il professor Marcello Siniscalco, allora professore a Leida, eseguendo nel suo laboratorio le analisi genetiche di moltissimi campioni di sangue che avevo raccolto in Africa. Il contatto con una cultura così diversa mi spinse a cominciare ricerche di evoluzione culturale, che iniziai dopo il mio passaggio all’università di Stanford nel 1971. Prima fra queste fu l’analisi dei dati archeologici sulla diffusione dell’agricoltura in Europa nel neolitico, in collaborazione con l’archeologo Albert Ammerman. Grazie ad una teoria matematica proposta da R.A. Fisher nel 1937, potemmo misurare la velocità di diffusione dell’agricoltura e dimostrare che era compatibile con l’ipotesi che fossero le stesse popolazioni agricole, e non la tecnologia agricola a diffondersi. In altre parole, era la diffusione degli agricoltori, che soprannominammo “diffusione demica”, e non solo quella dell’agricoltura che sarebbe una forma di pura “diffusione culturale”. Nella seconda metà degli anni settanta, con Alberto Piazza e Paolo Menozzi, oggi professori di genetica umana a Torino e di ecologia a Parma, conducemmo un’analisi sui dati di frequenze geniche in Europa, che ci permise di dimostrare che esiste una forte correlazione tra dati genetici ed archeologici, a riprova dell’idea che l’espansione agricola ha avuto inizio nel Medio Oriente. Questo fu l’inizio di una collaborazione con Menozzi e Piazza durata 14 anni, che ci ha permesso di estendere questi studi di geografia e storia genetica al resto del mondo, e di pubblicare, nel 1994, un libro intitolato History and Geography of Human Genes (edizione italiana: Storia e geografia dei geni umani, Adelphi, 1997).


Con gli anni ottanta arrivarono i primi metodi di analisi genetica che permettevano di studiare direttamente il DNA. Questo progresso rivoluzionario ha permesso di allargare enormemente il panorama della variazione genetica, da poche centinaia di geni a decine di migliaia, e di spingere l’analisi all’atomo del DNA, il singolo nucleotide. E’ anche diventato possibile introdurre nuovi metodi per raccogliere i dati genetici di significativi fattori nella storia evolutiva dell’uomo, in particolare dell’espansione dell’uomo moderno al di fuori dei confini in cui fu generato: l’Africa. Quattro anni fa un ricercatore del mio laboratorio, Peter Underhill, assieme a Peter Oefner, un collega del laboratorio di Ron Davis, ha inventato un nuovo metodo di ricerca di differenze del DNA particolarmente efficace, con il quale è stato possibile trovare molte variazioni genetiche nel cromosoma Y. Fino ad allora questo cromosoma, che si è rivelato prezioso per più ragioni, aveva contribuito ben poco allo studio dell’evoluzione. Oggi siamo perciò entrati in una fase di grande attività e di scoperte affascinanti. 

La crescita esplosiva della conoscenza negli ultimi anni ha investito anche certi campi di studi socioculturali, come la linguistica e l’onomastica – lo studio dei nomi propri. In questo mio studio, come in quello sulla consanguineità, desidero ricordare l’aiuto prezioso datomi dalla professoressa Gianna Zei di Pavia. Abbiamo potuto osservare una notevole somiglianza tra l’evoluzione delle lingue e quella dei geni, dovuta in parte alla comunanza di meccanismi evolutivi e a dei processi storici di espansione delle popolazioni. Nello studio dell’evoluzione delle lingue mi hanno aiutato Joseph Greenberg e Merritt Ruhlen di Stanford, e Bill Wang di Berkeley. In parte, questi ultimi studi sono il risultato di una trentennale collaborazione con il professor Marc Feldman di Stanford, con il quale abbiamo costruito una teoria matematica dell’eredità culturale. Gli studi di evoluzione culturale hanno finora trovato poco interesse tra gli antropologi culturali, con una importante eccezione: la ricerca congiunta sui pigmei con il professor Barry Hewlett della Washington University; hanno, invece, stimolato gli economisti, che sono più interessati all’approccio matematico.


Le mie ricerche mi hanno spesso portato in campi di solito “proibiti” alle scienze naturali; potranno di conseguenza sollecitare un maggior interscambio tra le “Due Culture”. In campi come il mio, la multidisciplinarietà è essenziale. D’altro canto, la scienza richiede sempre più una elevatissima specializzazione, senza la quale si incorre nel pericolo della superficialità. Comunque si può sempre diventare multidisciplinari a condizione che si riesca a trovare dei buoni collaboratori nelle altre discipline. Sono lieto di aver potuto nominare e ringraziare almeno i più importanti. Senza di loro la mia ricerca non sarebbe stata possibile.

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