Italia
Premio Balzan 1989 per l'etologia
Discorso di ringraziamento – Berna, 17.11.1989
Signor Rappresentante del Consiglio Federale,
Signori Presidenti e membri della Fondazione Balzan,
Signore e Signori,
l’etologia, a cui la Fondazione Internazionale Balzan ha riserbato quest’anno uno dei suoi premi prestigiosi, è una scienza assai giovane, che riconosce di essere nata da un’arte antica: l’arte di chi sa osservare il comportamento degli animali, con amore e pazienza, immemore del tempo, incantato dalla sua straordinaria bellezza.
Ho provato io stesso molte volte questo incanto felice quando, ad esempio, lo studio di una piccola primitiva società di insetti, mi rivelò a poco a poco la inconfondibile individualità del singolo o quando giunsi a comprendere che il sole, “lo ministro maggior della natura”, era davvero, anche per certe minime forme animali – come per noi uomini -, “il pianeta che mena dritto altrui per ogni calle”.
Furono, quelli – certamente – giorni di gioia intensa, preceduti e seguiti tuttavia – bisogna dirlo – da anni ed anni di registrazioni monotone, di tediose elaborazioni statistiche, di sperimentazioni infruttuose, di disperanti errori, di delusioni, oltreché di gioie.
Vi ringrazio dal profondo del cuore, insigni esperti del Comitato scientifico, per avermi scelto a rappresentare oggi l’etologia, e per quelle scoperte e per questo duro lavoro. Sono orgoglioso ed altamente onorato per un riconoscimento di così alto prestigio, ma poiché sono pienamente consapevole della responsabilità che mi assumo accettandolo per la disciplina severa e difficile, troppo spesso illustrata anche ai giovani studenti soltanto come “scientia amabilis”, mi sento turbato da un’emozione profonda i cui motivi sono per me ben evidenti.
L’Etologia, questa disciplina di cui mi piace sottolineare in questa sede solenne l’originaria appartenenza alla Zoologia, è oggi nel pieno del suo fiorire ed è – senza dubbio – fra le più complesse dell’intera biologia animale. Proprio in quanto studia il comportamento, cioè l’uscita finale del meccanismo biologico, l’etologia non può prescindere da alcuna delle analisi che di quel meccanismo vengono compiute, con diversi metodi, ai vari livelli. Problemi di morfologia, di anatomia, di fisiologia sensoriale, motoria e nervosa, di endocrinologia, di embriologia, di genetica, di ecologia, di zoologia sistematica, intimamente connessi fra loro nel quadro interpretativo dell’evoluzione, affiorano perciò continuamente nel lavoro dell’etologo. Né si può dimenticare che l’etologia ha esteso le sue prospettive a molti aspetti del comportamento umano, ponendosi in un certo senso al crocevia fra le discipline naturalistiche dell’uomo e quelle umanistiche.
Di fronte ad un ramo del sapere – dunque – di tale complessità e con tali aperture, a colui che viene prescelto a rappresentarla (fosse anche per un momento solo) sembra necessaria una dichiarazione di limitatezza e giusta una professione di umiltà.
Dell’Etologia ho studiato solo due aspetti: la biologia della socialità e l’orientamento dell’animale nello spazio. Nel primo caso è il comportamento dell’individuo in quanto particella sociale di un superorganismo che è nel fuoco dell’attenzione; nel secondo lo è il funzionamento dell’individuo isolato, nella sua lotta incessante per accedere alle risorse dell’ambiente, evitandone le continue insidie.
Biologia del comportamento sociale ed orientamento nello spazio – voglio ricordarlo oggi – sono i temi in cui la scienza elvetica ha una sua luminosa tradizione, sono i temi fondamentali della grande opera di Karl Von Frisch: il primo scienziato che la Fondazione Balzan ebbe a premiare nel 1962. Karl Von Frisch e la sua scuola sono stati per me un modello costante ed oggi la mia devozione e la mia gratitudine per lui sono ancor più profonde, se rifletto – non senza imbarazzo – che ho avuto l’onore di ottenere lo stesso riconoscimento ch’egli ebbe per primo.
Non è questo il momento per parlare delle mie ricerche. Voglio soltanto rilevare che – sull’esempio del Maestro – ho studiato quasi sempre le stesse specie e, quasi sempre, l’animale intatto nel suo ambiente naturale. Guardando più al presente che al passato, posso, ancora, costatare con soddisfazione che le scelte dei miei soggetti di studio furono a suo tempo assai felici. Le piccole vespe, su cui concentrai la mia attenzione tanti anni or sono, quel genere polistes che è stato definito come genere chiave per comprendere l’evoluzione della socialità degli Imenotteri e degli insetti, è ancor oggi intensamente studiato ovunque, in Italia come negli Stati Uniti, in Germania come in Giappone e rivela tuttora – insieme alle forme affini – una straordinaria varietà di fenomeni, ben superiore a quella che io potessi sospettare all’inizio. E indubbio che queste indagini contribuiranno validamente ad approfondire le nostre conoscenze sulle regole generali che governano il fenomeno della socialità animale e la sua evoluzione.
Così, ancora, i comportamenti delle umilissime pulci delle rive marine, i talitridi, questi incredibili meccanismi che l’evoluzione ha dotato di una molteplicità sorprendente di astuzie etologiche per salvare la vita nel loro universo lineare stretto fra i due ecosistemi egualmente ostili del mare e della terra emersa, non hanno ancora finito di sorprenderci, dopo oltre trent’anni di studio. Capacità sensoriali e neurali inattese, per animali siffatti, sono state scoperte, mentre appare sempre più evidente come la valutazione integrata delle informazioni utili, interne ed esterne, per quello scopo vitale, sia sottoposta ad un intreccio complesso fra facoltà innate ed individualmente acquisite.
Mi sia consentito ora di ricordare con rimpianto altri miei maestri: Guido Grandi, innanzitutto, il grande entomologo, alla cui immensa cultura ho fatto tante volte ricorso. E poi, giacché ho l’onore di parlare in questa terra ospitale, non voglio dimenticare Jakob Seiler, professore di zoologia a Zurigo. Con lui non ho studiato etologia, ma egli è stato comunque per me un Maestro di rigore scientifico.
Un ringraziamento speciale vada ai miei allievi e collaboratori. Ad essi debbo moltissimo, anche se non nego di aver avuto il merito (ma anche il privilegio) di appassionarli alla mia materia. Non potendo nominarli tutti, ricorderò soltanto il Primo, Floriano Papi, oggi professore a Pisa, con cui ho scoperto l’orientamento astronomico dei crostacei. Egli ha poi raggiunto, alla guida della sua scuola, straordinari risultati proprio nel campo dell’orientamento animale.
Desidero ancora ringraziare mia moglie: il suo amore e la sua comprensione sono stati sempre l’incentivo più importante del mio lavoro.
Rinnovo infine, alla Fondazione Balzan, l’espressione della mia riconoscenza profonda.