Discorso di ringraziamento – Roma, 24.11.2006

Regno Unito

Quentin Skinner

Premio Balzan 2006 per la storia e la teoria del pensiero politico

Per la sua formulazione di una metodologia innovativa per lo studio della storia delle idee, il suo fondamentale contributo alla storia del pensiero politico e le sue penetranti riflessioni sulla natura della libertà.


Signor Presidente della Repubblica Italiana,
Signori Membri degli organi della Fondazione Balzan,
Gentili Signore, Egregi Signori,

parlerò in inglese, ma desidero prima manifestarvi la mia massima gratitudine perché posso farlo. Che io possa arrivare qui, dove si parla la lingua di Dante e di Petrarca, e che mi sia consentito di rivolgermi a voi nella mia lingua, è un privilegio straordinario, che gli anglofoni in particolare non devono mai dare per scontato. 

Mi sento immensamente onorato di essere il destinatario di un Premio Balzan, e vorrei cominciare porgendo i miei ringraziamenti più sentiti a tutto il Comitato Generale Premi e al suo Presidente. Mi sento onorato, in modo particolare, che un gruppo così straordinariamente eminente di giurati abbia ritenuto che i miei studi fossero degni di essere riconosciuti in questa forma così munifica e anche magnifica. 

Sono ancora più felice di ricevere questo premio a Roma. Uno dei temi che ho cercato di esaminare più frequentemente nel mio lavoro di storico è stato l’impatto dell’antica Roma sull’Europa moderna. Il mio libro sulla pittura politica del Rinascimento cerca di mostrare come i valori della filosofia morale romana sono stati fatti rivivere ed adattati, da alcuni dei loro esponenti più rappresentativi, alle città-stato italiane. Il mio libro su Machiavelli sostiene che Il Principe sia meglio compreso come commento critico, e soprattutto come satira, di questi stessi valori della classicità. Il mio libro su Thomas Hobbes afferma che la sua filosofia è stata influenzata dalla retorica romana antica almeno quanto dalla rivoluzione scientifica del suo tempo. Per me, un soggiorno a Roma non è semplicemente un piacere e un privilegio, è anche un richiamo a un tema che io, insieme a tanti altri storici dell’Europa moderna, ho costantemente approfondito: il ruolo unico che questa particolare città ha avuto nel dare forma al nostro mondo. 

Desidero spendere una parola speciale di ringraziamento alla Fondazione per il riconoscimento che dà al mio campo specifico di studio. Quando ho intrapreso la mia professione, nei primi anni Sessanta, pochi storici prestavano un’attenzione particolare alla storia del pensiero morale e politico. Tali idee venivano diffusamente considerate poco più che razionalizzazioni di interessi e, conseguentemente, ritenute di scarso valore intrinseco e ancora meno esplicativo. Oggi – sono felice di rilevarlo – gli storici sono molto meno inclini a imporre le strutture teoriche correnti al passato e molto più propensi ad ascoltare le parole dei nostri antenati quando descrivono le loro convinzioni ed esperienze. È vero, tuttavia, che rimangono da convincere molti scettici del valore del genere di storia intellettuale che io cerco di scrivere. Stando così le cose, la volontà della Fondazione di offrire il suo immenso prestigio nel riconoscere importanza alla materia è già in sé un motivo di gratitudine. 

Più in generale, tutti noi che lavoriamo negli studi umanistici abbiamo un debito profondo nei confronti della Fondazione per la sua opera costante di promozione del nostro genere di lavoro. Ma nel dire questo non intendo affatto elogiare la Fondazione per il suo incoraggiamento di attività che non hanno un’evidente utilità. Credo fermamente, invece, che lo studio della filosofia e della sua storia ne abbiano. Quando i filosofi ci sfidano, con successo, a riconsiderare il modo in cui impieghiamo un certo particolare concetto, riescono anche a cambiare il modo in cui vediamo il mondo. Quando l’idea in oggetto è di tipo normativo – come nel caso della libertà o dell’uguaglianza o della giustizia sociale – l’effetto è anche quello di cambiare la nostra percezione di come dovremmo comportarci. Ho molto riflettuto sul concetto di libertà politica e ho cercato di mostrare nel mio libro La libertà prima del liberalismo come, nelle democrazie occidentali attuali, spesso siamo molto meno liberi di quanto i nostri governi amino assicurarci. Questa è, a un certo livello, un’osservazione  filosofica, ma su un altro livello è un richiamo per noi a riconsiderare alcune delle nostre istituzioni e delle nostre prassi. Quando ringrazio la Fondazione per il sostegno a questo genere di ricerca, sto apprezzando anche la sua volontà di incoraggiare quel genere di studi umanistici che cerca non soltanto di capire, ma, se possibile, di cambiare il mondo. 

Assegnare un premio accademico a una persona significa attirare l’attenzione sul contributo individuale che si presume abbia dato a quella disciplina. Ma se rifletto sui presupposti con cui ci si deve confrontare, prima di poter iniziare a impegnarsi nei propri studi, comincio a domandarmi se il mio contributo possa essere considerato effettivamente individuale. Mi ritengo immensamente fortunato, in primo luogo di vivere in una società in cui gli studi sono stimati, in cui la società stessa è abbastanza ricca per sostenerli e nella quale vi è un grado sufficiente di pace e di sicurezza perché questi studi possano essere coltivati. Mi ritengo non meno fortunato di lavorare in un’università con biblioteche ben fornite e strutture adeguate nonché una politica generosa nei confronti dei periodi sabbatici. Allo stesso modo mi sento fortemente legato a chi mi ha preceduto nel mio insegnamento, sollevando le questioni alle quali io, ora, cerco di rispondere o che rimetto a mia volta in discussione. E neppure lavoro da solo, ma sempre come membro di una comunità intellettuale. Studio e traggo vantaggio dalle pubblicazioni di colleghi di tutto il mondo e i miei lavori vengono letti prima della pubblicazione da esperti il cui consiglio, a volte, mi permette di migliorarli senza che ci sia un riconoscimento per loro. 

Quanto, allora, di ciò che pubblico è frutto genuino del mio sforzo individuale? Molto meno, mi sembra, di quanto le supposizioni individualistiche prevalenti al giorno d’oggi tendano a far pensare. Se questo significa, però, che non sono sicuro di meritare questo premio, significa allo stesso tempo che mi ritengo ancor più fortunato per averlo ricevuto. E significa perciò che nutro un senso ancor più profondo di riconoscenza verso il Comitato. Desidero concludere rinnovando il mio più sentito ringraziamento dal profondo del cuore.

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