Discorso di ringraziamento – Berna, 07.11.2003

Francia/Romania

Serge Moscovici

Premio Balzan 2003 per la psicologia sociale

I lavori di Serge Moscovici sono caratterizzati dalla loro grande novità: hanno ribaltato i paradigmi canonici della disciplina, rinnovato i suoi metodi di ricerca e i suoi orientamenti, creato una tradizione europea in psicologia sociale la cui originalità è universalmente riconosciuta. Nelle scienze dell’uomo e della società Serge Moscovici occupa ormai il posto eminente che, fino alla fine degli anni ’60, fu di Jean Piaget.


Signore e Signori,

ci sono, nella vita di un uomo, dei momenti eccezionali, nei quali egli scopre quanto ciò che appare agli altri come una “carriera”, è stato invece, per lui, un lungo susseguirsi di improvvisazioni e di stupore. Lo stupore, il meraviglioso stupore di oggi, è ricevere il prestigioso e generoso Premio Balzan, una cosa stupefacente, che non mi sarei mai aspettato. Ed è stato stupefacente, anzi emozionante, scoprire che i miei predecessori sono stati Jean Piaget e Jerome Bruner.
Quanti sono ormai quelli di noi che hanno conosciuto Jean Piaget? Ho avuto la grande fortuna di conoscerlo ed ammirarlo quando ero ancora studente, a Parigi, e di trovare ispirazione nei suoi studi sulla “children philosophy”, studi esemplari tanto per la teoria che per il metodo. Erano molto stimolanti per quell’epoca, dominata dalla logica behavioristica e riflessologica! Più tardi, quando mi invitò a Ginevra per introdurre l’insegnamento di psicologia sociale, ho avuto modo di vedere questa grandissima mente al lavoro nel suo laboratorio di idee, nel suo “osservatorio infantile”, circondato dalla sua Scuola: ne aveva fatto una famiglia, anzi una casa. E’ forse inutile aggiungere che questo grande spirito ha lasciato un’impronta affascinante ed indelebile, aperto com’era alla creazione.
Quando fui chiamato ad insegnare a New York alla New School for Social Research, ebbi la grande fortuna di trovarvi, come collega e – spero – come amico, Jerome Bruner. Vicino a lui, approfondendo meglio la conoscenza della sua opera che associa in modo accattivante la psicologia sociale e la psicologia cognitiva, mi sembrò che tutte le speranze fossero possibili. E che non siamo irrimediabilmente presi nella trappola del positivismo, sempre presente in psicologia e, in generale, nelle scienze umane. Oserei dire che nelle scelte che avete fatto ci sia come “un’aria di famiglia”, nel senso di Wittgenstein. Vi si discerne un’epistemologia, o anche una pratica feconda della scienza che hanno bisogno di essere incoraggiate, incentivate, e io vi esprimo per questo tutta la mia gratitudine.
Devo ora venire a quella che credo, anzi so, essere la vostra intenzione: premiare la psicologia sociale e, con questo Premio, riconoscerne il posto tra le scienze dell’uomo. Ed è vera giustizia, perché, come per qualsiasi altro nuovo campo del sapere, per ogni altra scienza del tutto nuova, la nostra ha dovuto superare dei grandi ostacoli e dare la prova della sua utilità. Questo le è riconosciuto anche dai suoi critici, senza discussioni. Lasciatemi spiegare, con poche parole, che cosa vogliamo dire quando parliamo di scienza nuova, nata negli Stati Uniti durante la guerra ed in Europa dopo la guerra. La mia prima affermazione, di cui spero riconoscerete l’evidenza, è che ciascuna delle grandi scienze dell’uomo, la psicologia, la sociologia, l’antropologia, nascenti tutte all’inizio del secolo scorso, ha contemporaneamente definito le frontiere del suo campo d’azione e quelle di un campo d’interazione con le altre, quello dei fenomeni ibridi, complessi, che sono comuni, per esempio, alla psicologia e alla sociologia, all’antropologia e alla psicologia, e così via. In questo modo, ognuno dei grandi “padri fondatori”, mentre chiudeva le porte, nello stesso tempo lanciava un ponte. Wundt ha concepito la Völkerpsychologie che include la lingua, i miti, le forme simboliche; Durkheim ha riservato larga visibilità alla psychologie collective delle rappresentazioni, ai sistemi di classificazione e della memoria collettiva; gli antropologi hanno concepito la folk psychology.
E non dimentichiamo la psicologia delle masse che, con la psicanalisi ed il marxismo, fu una delle teorie più influenti del secolo passato. Se mi sono interessato alla questione, sino al punto di scrivere un libro, La Machine à faire des dieux (in inglese The Invention of Society, in italiano La fabbrica degli dei), è per cercare di capire che cosa apportano le psicologie sussidiarie. Spero di aver dimostrato come la sociologia è potuta diventare una scienza delle razionalità moderne facendo della psicologia collettiva una scienza delle irrazionalità moderne, delle credenze religiose in particolare.
La mia seconda affermazione è l’enunciato di un fatto, certamente ancora materia di discussioni. Sullo sfondo di queste psicologie sussidiarie, la psicologia sociale ha chiuso un processo evolutivo. Questo fatto ha provocato il risultato di riunire e, forse, integrare la no man’s land delle psicologie sociali ausiliarie di cui ho appena parlato, in una psicologia sociale autonoma, con concetti e metodi propri e con l’obbiettivo di studiare una vasta gamma di fenomeni sociali “misti”, tanto individuali che sociali, della nostra cultura. Essa comprende tanto le relazioni fra i gruppi quanto i generi di comunicazione, tanto i processi di influenza sociale quanto i processi ideologici, tanto la conoscenza di senso comune quanto le forme della decisione. Da qui, un campo di applicazioni immenso. Tuttavia ciò non significa che in questo modo abbiamo raggiunto la piena autonomia e neppure siamo tutti d’accordo sul fatto di riconoscere che la psicologia sociale sia una specializzazione della psicologia, oppure una vera scienza autonoma dei fenomeni complessi della nostra cultura, come lo sono l’antropologia e, in un altro senso, la psicologia dell’infanzia. Divergenze normali, ma anche molto feconde. Einstein diceva che, nella scienza ci sono sempre delle guerre, ma che per fortuna esse non fanno mai morti.
Da studente, sono stato attirato verso la psicologia sociale da questa atmosfera stimolante di turbolenze creative e dalle risposte nuove che essa dava alle domande che si poneva la nostra generazione. Tutto il mio lavoro di ricerca, da quasi cinquant’anni, ha avuto lo scopo di fondare, sul piano intellettuale così come su quello istituzionale, la sua autonomia scientifica e la sua diffusione in tutto il mondo. Ringrazio vivamente la Fondazione Balzan e la Giuria del Premio Balzan di aver dato una distinzione alla nostra disciplina e riconosciuto il suo contributo alle scienze dell’uomo.

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